Alitalia, la vendita e i paletti Ue

La Commissione Ue ha pubblicato oggi una Comunicazione sull’aviazione che avrà un impatto anche sulla procedura di vendita di Alitalia. In sostanza la vendita di Alitalia dovrà rispettare la regola del 50,1% del capitale in mano ad azionisti che siano dell’Unione europea, siano essi società o individui.

La Commissione europea ha confermato il tetto del 49,9% per la proprietà di soci extracomunitari. Questo significa che se soggetti esterni all’Unione europea acquisissero più del 50% di Alitalia, come del resto di qualunque altra aerolinea comunitaria, per esempio Meridiana o Blue Panorama per restare ad altre italiane coinvolte in una procedura di riassetto azionario, questa non sarebbe più considerata una compagnia della Ue.

Se ciò avvenisse, Alitalia perderebbe tutti i diritti di volo previsti dalle norme Ue sulla liberalizzazione dei cieli che, in particolare, considerano tutta la Ue come un unico spazio aereo “domestico”, accessibile liberamente (solo) alle compagie Ue: in tal caso non potrebbe fare voli né tra due aeroporti italiani né tra due città dell’Unione europea. Inoltre per i voli verso destinazioni al di fuori dell’Ue non sarebbe più considerata un vettore italiano ai fini dei trattati bilaterali che regolano il traffico. In tal caso, per esempio, non potrebbe beneficiare del trattato Open Sky tra la Ue e gli Stati Uniti, che consente a una compagnia Ue di volare da una qualsiasi città comunitaria (anche al di fuori dello Stato di “bandiera”) a una qualsiasi città degli Usa e viceversa.

Il coordinatore dei tre commissari Alitalia, Luigi Gubitosi, si aspetta molto dalla manifestazione d’interesse presentata dall’americana Delta. Non si sa a che cosa realmente sia interessata la compagnia di Atlanta, che oggi è un partner commerciale e industriale di Alitalia, attraverso la joint venture transatlantica, di cui fa parte anche Air France-Klm. Né si comprende a cosa servirebbe a Delta avere una compagnia in Europa. In ogni caso, se il gigante di Atlanta dovesse comprare dei pezzi di Alitalia (o, per mera ipotesi che oggi appare remota, tutto il ramo d’azienda della compagnia), la società americana non potrebbe avere più del 49,9%, altrimenti Alitalia non sarebbe più considerata una compagnia Ue e perderebbe i diritti di volo.

Occorrerebbe quindi che altri soggetti, comunitari, affiancassero Delta e avessero almeno il 50% più un’azione. Chi sarebbero questi soggetti? Il primo pensiero va alle banche, che attraverso Cai-Midco erano i principali azionisti dell’Alitalia finita in amministrazione straordinaria e adesso, essendo stati azzerati come azionisti, sono dei grandi creditori. Non a caso due commissari, Gubitosi e l’uomo dalle cento poltrone Enrico Laghi, sono professionisti espressi direttamente dalle banche. Oppure i soci extra-Ue potrebbero essere affiancati da altre compagnie comunitarie.

Lo stesso paletto del 49,9% varrebbe nel caso gli arabi di Etihad fossero interessati, dopo il salasso che hanno preso con l’Alitalia presieduta da Luca Cordero di Montezemolo (ma gestita da uomini scelti da Abu Dhabi), a comprarsi Alitalia una seconda volta. Il paletto si applicherebbe anche ai fondi americani che hanno manifestato interesse, come Tpg e altri. Questo naturalmente vale solo per le attività di volo. Non per l’acquisto di beni. Nel caso di acquisto di aeroplani o attività di manutenzione la proprietà può essere trasferita liberamente.

Nella Comunicazione detta “Aviation: Open and Connected Europe”, la Commissione ha indicato le linee guida per applicare e valutare le norme sulla proprietà delle compagnie, attuando dopo un anno e mezzo (il processo non è stato agevole né rapido) un impegno che aveva preso nel dicembre 2015. Le linee guida non potevano comunque modificare le norme sulla proprietà e il controllo che nella Ue esistono dal 2008, tuttavia c’era chi si aspettava un allentamento delle regole.

Dietro tutto questo c’era la spinta dei ricchi vettori del Golfo persico che negli ultimi anni hanno investito pesantemente in Europa e c’era anche il desiderio di diverse compagnie europee di poter accedere a nuovi capitali per sostenere un settore che, pur facendo utili (tranne in pochi casi, come Alitalia e quasi tutte le altre compagnie italiane rimaste in piedi, anzi in volo), ha margini di guadagno limitati e un indebitamento ancora piuttosto elevato.

In media, i debiti finanziari netti delle compagnie europee a fine 2016 sono circa 4 volte l’Ebitdar (margine operativo lordo, prima degli ammortamenti e del costo dei leasing di aerei), secondo i dati della Iata. Questo indebitamento è doppio rispetto alle compagnie americane, che hanno debiti pari a 2 volte l’Ebitdar, sempre in base a dati Iata.

Adesso la forza di Emirates, Etihad e soprattutto QatarAirways (dopo l’isolamento del Qatar deciso dai paesi arabi e del Golfo) sembra un po’ attenuata, volano basso. A margine dell’assemblea Iata a Cancun ho fatto questa domanda a Carsten Spohr, amministratore delegato di Lufthansa, il quale ha risposto sorridendo: “Non mi preoccupo”. Alla stessa osservazione un top manager della Iata ha osservato: “Le compagnie dei paesi del Golfo stanno entrando in una fase di normalità”.

In alcuni colloqui privati negli ultimi giorni, prima di aprire le buste con le 32 manifestazioni d’interesse per Alitalia, Gubitosi ha detto che se ci fosse davvero un compratore extra-comunitario il soggetto comunitario cui far prendere il 50,1% si troverebbe facilmente. Come se avesse in mente una soluzione.

Adesso però il problema maggiore per i tre commissari è trovare qualcuno che sia davvero interessato ad Alitalia e a farla volare. In realtà c’è una forte probabibilità che per Alitalia si arrivi a uno spezzatino e che rimangano senza lavoro diverse migliaia dei 12mila dipendenti.

Tra l’altro in base alle regole comunitarie sulla proprietà e il controllo, anche se l’acquirente fosse britannico d’ora in poi sarebbe da considerare extracomunitario, per via della Brexit, che sarà esecutiva entro marzo 2019. Quindi il tetto del 49,9% varrebbe anche per easyJet, che ha manifestato interesse ed è britannica. Non si applicherebbe invece a Ryanair, che è irlandese.

Da quanto pare di capire, se i soggetti extracomunitari, pur rimanendo sotto il 50%, dovessero avere diritti di veto sulla gestione della compagnia, stando alle linee guida la Commissione potrebbe considerare queste clausole come una forma di protezione dell’investimento e non come la prova di un controllo. Allo stesso tempo “un azionista di un paese terzo può avere diritto di veto senza che questo conduca necessariamente alla perdita del controllo effettivo dell’azionista Ue”, spiegano a Bruxelles.

La Commissione sottolinea che “ogni caso deve essere valutato in modo individuale”. “I due elementi, ovvero la proprietà sopra il 50% così come il controllo effettivo, da parte di Stati membri o loro cittadini sono distinti e cumulativi, ed entrambi devono essere sempre rispettati”, ricordano le linee guida. Per la proprietà, si sottolinea che dovrà essere verificata la nazionalità del proprietario finale della compagnia.

La reazione di alcuni ambienti del trasporto aereo europeo è che le linee guida della Commissione dovrebbero favorire gli investimenti, perché “fare chiarezza aiuta gli investitori”. Tuttavia non c’è un cambiamento sostanziale delle norme e non si vedono quindi le ragioni di un particolare ottimismo, che assomiglia piuttosto a uno storytelling in cui si voglia credere a un lieto fine a tutti i costi.

Ammesso che per Alitalia, come per qualunque compagnia europea finire in mano a padroni arabi o americani possa davvero essere un lieto fine.

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