Perché Alitalia (e l’Italia) non è tra i poteri forti dell’aviazione

Il commissario straordinario dell’Alitalia, Luigi Gubitosi, è volato fino in Messico, a Cancun, per partecipare all’assemblea annuale della Iata, l’influente associazione mondiale del trasporto aereo, una lobby cui aderiscono 275 compagnie che rappresentano l’83% del traffico aereo del pianeta. Ma non è sicuro che Alitalia esisterà ancora quando i boss dell’aviazione mondiale si incontreranno di nuovo tra un anno, nell’assemblea che _ ha scoperto Poteri Deboli consultando fonti bene informate a Cancun _ si svolgerà in Australia, a Sydney.

A Cancun Gubitosi ha avuto colloqui riservati con i capi di altre compagnie, si è mosso dietro le quinte. Ma non si è mostrato in pubblico nei lavori dell’assemblea, che si svolge nell’enorme salone di un albergo di lusso. L’ex direttore generale della Rai (e tuttora consigliere di amministrazione del Sole 24 Ore, carica dalla quale non si è dimesso, malgrado i nuovi impegni) è qui nelle vesti di venditore della sofferente compagnia “di bandierina” italiana.

Difficile però trovare compratori per la Cenerentola del trasporto aereo mondiale. Il rischio, molto concreto, è che si arrivi allo spezzatino e che, se ci sarà qualche interessato, sia possibile solo ricollocare qualche pezzo della compagnia, con un’ulteriore perdita di diverse migliaia di posti di lavoro sui circa 12mila dipendenti. Intanto, la compagnia continua a volare grazie all’iniezione di 600 milioni di euro di denaro pubblico, ufficialmente un “prestito” concesso dal governo di Paolo Gentiloni, ma non si sa se verrà restituito. Del resto, dopo il “no” dei lavoratori nel referendum sul nuovo contratto di lavoro e sui tagli, nessuna banca era più disposta a prestare soldi ad Alitalia. Gli stipendi di maggio non sono stati pagati per intero, la parte variabile per ore di volo, straordinari e rimborso spese di trasferta non è stata versata, riferiscono dei dipendenti della compagnia.

Alitalia non interessa ai vecchi ex alleati di Air France-Klm, né alla Iag, la holding che controlla British Aiways (che pure ha i suoi problemi dopo il flop del sistema informatico a Heathrow), Iberia, Vueling, Aer Lingus e Level, il nuovo marchio per i voli low cost a lungo raggio. Neppure Ryanair intende fare offerte, semmai Michael O’Leary si propone _ come easyJet _ per volare low cost nel breve raggio al posto degli equipaggi di Alitalia, a 40 euro a tratta. Un’offerta che, se accettata, farebbe saltare almeno 4mila posti di lavoro. Ma non è detto che, se non la si accetta ma intanto neppure si fa nulla per migliorare la situazione, quei posti di lavoro verranno salvati.

Più enigmatica la posizione di Lufthansa. I tedeschi _ ci ha detto l’a.d., Carsten Spohr _ sono “interessati a prendere parte a un progetto di sviluppo del mercato italiano, ma non a un investimento azionario” di una compagnia che quest’anno, prima del commissariamento, prevedeva di perdere 650 milioni di euro. Adesso le prospettive sono ancora peggiori, perché le vendite di biglietti si sarebbero ridotte, a causa delle incertezze. Secondo un concorrente, i tedeschi sarebbero interessati ad avere nuove rotte in Italia, slot, aerei in leasing, insomma potrebbero prendersi pezzi di Alitalia, ma difficilmente personale, a meno che non venga abbattuto il costo del lavoro. “L’Italia merita collegamenti aerei di lungo raggio, non può essere un mercato solo per le compagnie low cost”, ha detto l’a.d. di Lufthansa. Per far capire i rischi che corre Alitalia, Spohr è stato molto chiaro: “L’Italia non può sparire dall’aviazione”.

Willie Walsh, a.d. del colosso Iag, non è più rassicurante per i lavoratori di Alitalia: “Se Alitalia dovesse sparire il governo, i passeggeri, i consumatori italiani non avrebbero nulla da temere. Ci sarebbero altre compagnie che sostituirebbero i voli che fa Alitalia, il paese non resterebbe privo di collegamenti aerei”. Questa frase, detta da un manager di successo dell’aviazione, spiega meglio di tante parole l’atteggiamento di molti concorrenti: aspettare che il malato Alitalia arrivi definitivamente al capolinea e occupare gli spazi di mercato che si libererebbero.

Secondo voci ci sarebbe l’attenzione del partner americano Delta, che è in ottime condizioni di salute. E ci potrebbe essere anche l’interesse di compagnie cinesi. Alcune, che abbiamo interpellato a Cancun, non hanno però voluto scoprire le carte. Le buste con le prime manifestazioni d’interesse non sono ancora state aperte da Gubitosi e dagli altri due commissari.

Con l’eccezione di Alitalia e di pochi altri vettori (tra cui anche Meridiana), il settore dell’aviazione mondiale scoppia di salute, grazie soprattutto al ribasso del pezzo del petrolio e al continuo aumento della domanda. Il direttore generale della Iata, Alexandre de Juniac, ha detto a Cancun che le previsioni per quest’anno sono migliorate. La Iata stima che tutte le compagnie mondiali quest’anno realizzino utili netti aggregati per 31,4 miliardi di dollari, cioè 1,6 miliardi di profitti in più di quanto stimato in dicembre: questo corrisponde a un utile medio di 7,69 dollari per ogni passeggero (9,13 dollari nel 2015 e 10,08 nel 2014).

Nel 2016 l’utile netto aggregato delle compagnie mondiali è stato di 34,8 miliardi, secondo la Iata, che ha un po’ aggiustato al ribasso le precedenti stime, pari a 35,6 miliardi. I ricavi totali sono previsti in crescita da 705 a 743 miliardi di dollari. La domanda dei passeggeri è prevista quest’anno in aumento del 7,4% a un totale di 4,1 miliardi di passeggeri. E’ lo stesso ritmo di crescita del 2016 e 2,6 punti percentuali in più della previsione precedente.

I risultati non sono omogenei in tutto il mondo. I conti migliori sono quelli delle compagnie americane, che quest’anno dovrebebro realizzare 15,4 miliardi di utili netti (16,5 miliardi nel 2016). In Europa le compagnie dovrebbero generare quest’anno 7,4 miliardi di dollari di utili netti aggregati, ci sarebbe un calo di 1,2 miliardi dei profitti rispetto al 2016.

Anche in Asia-Pacifico è previsto un utile netto aggregato di 7,4 miliardi. C’è un ridimensionamento dei risultati delle compagnie del Medio Oriente, solo 400 milioni di profitti attesi quest’anno, in ribasso rispetto a 1,1 miliardi del 2016: Emirates, Etihad e Qatar Airways volano un po’ più basso, dop oanni di esibizione muscolare. A Cancun non c’è il numero un odi Emirates Tim Clark e non c’è neppure James Hogan, l’a.d. di Etihad in uscita a luglio. Mentre l’a.d. di Qatar Airways, Akbar Al Baker, se n’è andato quasi alla chetichella dopo la rivolta dei paesi arabi contro il Qatar, che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche con Doha. Questo solleva notevoli interrogativi sulla conclusione dell’accordo per l’ingresso di Qatar Airways in Meridiana, già più volte rimandata. In America Latina è previsto un aumento da 600 a 800 milioni di dollari.

Molte compagnie, eccetto quelle americane, hanno ancora debiti elevati, fa notare il capo economista della Iata, Brian Pearce. Ma queste cifre rivelano che “c’è una solida performance finanziaria”, sottolinea de Juniac. Anche per questo è molto difficile spiegare ai boss delle altre compagnie aeree perché Alitalia continui a volare in perdita. Figuriamoci come deve essere difficile per Gubitosi (e Gentiloni) convincere qualcuno a comprarla.