I soldi dell’Eni ai giornali e tv

Giornali e televisioni parlano poco delle inchieste giudiziarie sull’Eni. Eppure, mentre i giudici fanno il loro lavoro e i top manager attuali e passati dell’Eni si dichiarano innocenti, di materia da raccontare ce ne sarebbe. Ci sono tre inchieste penali per corruzione.

L’ultima riguarda la Repubblica del Congo, ex colonia francese, capitale Brazzaville, è stata rivelata sul Corriere della sera dal giornalista Luigi Ferrarella, il 6 aprile.

Tre indagini per corruzione internazionale

Il Congo, dopo Algeria (presunte tangenti pagate da Saipem per ottenere commesse, nel processo i pm hanno chiesto la condanna dell’ex a.d. dell’Eni Paolo Scaroni a 6 anni e 4 mesi) e Nigeria (presunte tangenti Eni per l’acquisto di un giacimento di petrolio, Scaroni rinviato a giudizio insieme all’attuale a.d., Claudio Descalzi). Un’altra accusa di “corruzione internazionale” di “pubblici ufficiali stranieri” contro la società Eni e i suoi massimi dirigenti, ha riferito il Corriere, citando l’indagine della Procura di Milano.

Indagato. Claudio Descalzi, a.d. Eni

Intrecci in Congo con il dittatore

Secondo il “Corriere” in Congo non sarebbero state pagate solo tangenti a pubblici ufficiali e “consiglieri” del presidente, il dittatore Denis Sassou Nguesso, per sfruttare un maxigiacimento petrolifero a partire dal 2013. Ci sarebbe un secondo risvolto. Il Congo aveva preteso che l’Eni coinvolgesse nei lavori società locali indicate dal governo per almeno il 10% del valore dei contratti.  Una delle società partner dell’Eni in quote di produzione è la Aogc (Africa oil and gas corporation) di Denis Gokana, consigliere speciale sul petrolio del presidente-dittatore. Secondo i pm di Milano _ ha scritto il Corriere _ la società sarebbe lo schermo di “pubblici ufficiali congolesi”, i quali sarebbero soci occulti “e dunque in questo modo recettori di una tangente”.

Parte della presunta tangente, secondo l’accusa, sarebbe tornata in Italia. Tra i beneficiari ci sarebbe uno dei più alti dirigenti dell’Eni, Roberto Casula, 56 anni, capo delle attività di esplorazione e produzione di petrolio e gas. Casula è già stato rinviato a giudizio per le presunte tangenti pagate dall’Eni in Nigeria ed è indagato nell’inchiesta sul Congo, insieme a Descalzi.

Indagato. Roberto Casula, top manager Eni

Il ruolo di Casula

Casula è uno dei manager a diretto riporto dell’a.d., Descalzi, il quale è in carica da maggio 2014 e in precedenza, quando Scaroni guidava il gruppo, era il numero due e ricopriva l’attuale carica di Casula. Secondo l’accusa _ ha riferito il Corriere _ il 23% della Aogc con i preziosi diritti di esplorazione in Congo è stato ceduto a una società di diritto britannico (World natural resources o Wnr Congo) a un prezzo molto vantaggioso: solo 15 milioni di dollari, per una quota che avrebbe invece un valore di 430 milioni di dollari, secondo documenti citati dall’Espresso in un articolo dell’8 aprile di Paolo Biondani e Stefano Vergine. I pm ritengono che, attraverso vari schermi, fiduciari e società offshore, la Wnr sarebbe riconducibile a Casula, già fedelissimo di Scaroni e adesso di Descalzi.

Le dimissioni di Zingales

L’Espresso ha raccontato che l’economista Luigi Zingales, che era nel cda Eni, si è scontrato con Descalzi dopo aver sollevato interrogativi e chiesto controlli sugli affari dell’Eni in Africa, compreso il Congo. Zingales il 2 luglio 2015 ha dato le “irrevocabili dimissioni” dal cda Eni. Dovute a “non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società”, ha affermato Zingales nella lettera di dimissioni.

Adesso L’Espresso ha riferito quello che Zingales ha detto come testimone ai magistrati che lo hanno interrogato il 21 dicembre 2015 sulla presunta maxi-corruzione in Nigeria. Alla domanda sul perché delle dimissioni Zingales ha risposto: “Avevo profondi dissensi sui controlli condotti dall’Eni su alcuni investimenti, compreso quello in Nigeria (…)”.

Dimissioni. Luigi Zingales, univeristà di Chicago Booth

Lo scontro con Descalzi

Zingales _ secondo L’Espresso _ ha descritto così lo scontro con Descalzi. “Il 21 aprile 2015 _ ha detto Zingales ai pm _ ci fu un articolo del Times, che la consigliera Karina Litwak portò all’attenzione del cda, in cui si diceva a chiare lettere che in Congo l’Eni aveva ottenuto un rinnovo delle licenze petrolifere in cambio di una cessione di una quota a una società, African oil & gas corporation (Aogc), notoriamente collegata a Denis Gokana, capo dell’ente petrolifero congolese e molto vicino al presidente Sassou Nguesso. Le spiegazioni dell’ufficio legale _ ha detto Zingales, secondo quanto riportato dall’Espresso _ mi sembravano insoddisfacenti (…).”

“Io feci presente _ ha proseguito Zingales _ al comitato di controllo interno, composto da Andrea Gemma, Alessandro Lorenzi, Litwak e me, che la società non sembrava voler fare un serio approfondimento sul Congo. Gemma e Lorenzi però dicevano che non c’era nulla da approfondire. (…) Nei giorni successivi ebbi un confronto con Descalzi, che contestava la fondatezza dei miei rilievi e mi faceva presente che con questo mio comportamento io paralizzavo l’attività petrolifera dell’Eni. Io presi atto della situazione e dopo qualche mese ho rassegnato le dimissioni”.

Nove anni al vertice. Paolo Scaroni, ex a.d. Eni, con Sivlio Berlusconi

Il silenzio di giornali e tv

Il punto qui non è giudicare cosa sia successo. La questione è affidata ai magistrati. La domanda che facciamo è: perché i mezzi d’informazione non hanno approfondito e non raccontato questa vicenda? A parte l’articolo di Ferrarella sul Corriere, l’ampio servizio dell’Espresso e il Fatto Quotidiano (oggi c’è un articolo di Gianni Barbacetto, scrive che Casula è scomparso dall’organigramma Eni, la società dice che si è “autosospeso”), ci sono poche altre eccezioni.

Ma larga parte dei giornali e le televisioni hanno ignorato l’inchiesta in Congo. La terza indagine per corruzione in cui è coinvolto il grande gruppo petrolifero controllato dallo Stato.

Eni spende più di 40 milioni all’anno per pubblicità

Ci chiediamo quale sia la potenza di fuoco che l’Eni dispiega per poter fare pressioni sui media. Quali sono le spese pubblicitarie dell’Eni sui giornali e le tv?

Abbiamo trovato dei documenti con informazioni interessanti sugli investimenti pubblicitari dell’Eni. Alcuni azionisti hanno chiesto quanti soldi spende l’Eni per comprare pubblicità sui giornali e in tv in occasione delle assemblee annuali degli azionisti. Le risposte dell’Eni a queste domande sono pubblicate sul sito della società.

Mediaset. Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri

A Mediaset la somma più alta: 11,5 milioni in due anni

Nel 2015 l’Eni dichiara di aver speso 41,7 milioni per pubblicità su giornali e tv. Le principali concessionarie hanno ricevuto 23,2 milioni. La fetta maggiore è andata a Publitalia, il canale di raccolta di pubblicità delle reti tv di Mediaset, il gruppo controllato da Silvio Berlusconi: l’Eni gli ha dato 4,8 milioni. In casa Berlusconi c’è anche Mediamond, la joint venture tra Mondadori e Mediaset per la pubblicità su testate periodiche, radio e web: Mediamond ha ricevuto 1,4 milioni. La Rai ha ricevuto 2,9 milioni.

I dati del 2015 si vedono aprendo il link seguente:

Eni 2015 pubblicità

Tra i giornali in testa Rcs-Corriere e Repubblica-Espresso

Poi ci sono i giornali. L’Eni ha pagato 4,1 milioni a Rcs, che significa soprattutto Corriere della sera, quindi Manzoni, la società di pubblicità del gruppo La Repubblica-Espresso. Quindi 2,5 milioni a Google.

Confindustria. Il presidente Vincenzo Boccia con la d.g., Marcella Panucci

I soldi a Confindustria e al Sole 24 Ore

Per la pubblicità sul Sole 24 Ore l’Eni ha detto di aver speso 2,2 milioni nel 2015. Il gruppo editoriale è controllato dalla Confindustria, l’associazione degli imprenditori di cui l’Eni è uno dei principali contribuenti. Nelle risposte alle domande dei soci l’Eni ha detto di aver versato a Confindustria 1,59 milioni nel 2016 di “contributi associativi” e 6,1 milioni in totale nel 2015 di contributi associativi, comprese le associazioni territoriali.

Le testate di Caltagirone

Inoltre 1,6 milioni sono stati versati a Piemme, la concessionaria dei giornali del gruppo Caltagirone, cioè Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino. Al gruppo Cairo 0,5 milioni. I dati comunicati dall’Eni non precisano le risorse andate a La7, la tv comprata da Cairo. Dei soldi pagati nel 2017 manca il dettaglio degli altri 18,5 milioni.

Costruttore ed editore. Francesco Gaetano Caltagirone

Spese aumentate nel 2016, sale la Rai

Nel 2016 le spese per pubblicità dell’Eni sono aumentate fino a 44,93 milioni. L’Eni ha dato il dettaglio sui destinatari di 30,14 milioni. Publitalia-Mediaset ha sempre la fetta maggiore, 6,75 milioni, la quota Rai è salita a 5,26 milioni. Mediamond (cioè Mondadori-Mediaset) ha ricevuto 1,65 milioni.

I dati del 2016 si vedono aprendo il link seguente:

Eni 2016 pubblicità

Il gruppo Rcs-Corriere della sera ha ricevuto 4,51 milioni, Cairo (che è anche azionista di controllo di Rcs) è salito a 941.763 euro, nei dati pubblicati dall’Eni non c’è la sua emittente La7. Nel 2016 compare Sky, alla quale sono andati 1,3 milioni.

Il canale Manzoni di Repubblica-Espresso ha ricevuto 3,58 milioni, Il Sole 24 Ore 2,6 milioni, Piemme-Caltagirone 1,75 milioni, Google 1,79 milioni.

Rcs e La7. Urbano Cairo (a destra)

Dove sono finiti 33 milioni?

Tutte queste spese sono legittime. Abbiamo però una domanda. La massa di denaro investita dall’Eni in pubblicità è notevole. E’ possibile che questo influenzi i media? E un’altra domanda finale a Descalzi. Nei dati pubblicati dall’Eni manca l’indicazione sui destinatari di 18,5 milioni nel 2016 e 13,8 milioni nel 2016. In totale più di 33 milioni spesi in pubblicità: dove sono finiti?