Banca Intesa, quanto ci costi

Quanto guadagna Carlo Messina, il banchiere che vuole comprare con un euro le due banche venete disastrate, Popolare di Vicenza e Veneto banca?

L’altra faccia di questa “offerta” è un costo che potrebbe arrivare ad oltre 10 miliardi a carico dello Stato, quindi di tutti coloro che pagano le tasse. Perché Intesa Sanpaolo, la banca guidata da Messina, vuole solo la parte buona delle due banche venete. Invece non prenderà in carico più di 20 miliardi di crediti tra sofferenze lorde (9,6 miliardi), inadempienze probabili (8,3 miliardi), crediti scaduti (238 milioni), più i crediti in bonis “ad alto rischio” (almeno altri 2,5 miliardi, stimano gli analisti), secondo calcoli pubblicati dal Sole 24 Ore.

Questa zavorra finirebbe in una bad bank e il costo sarebbe in buona parte a carico dello Stato. Quanto? Non lo sappiamo con precisione. Secondo stime di Repubblica il costo potrebbe essere di 10-12 miliardi. Al ministero dell’Economia invece si aspettano un costo inferiore a 10 miliardi. La storia dei salvataggi bancari nel nostro paese insegna però che spesso i costi sono destinati a salire rispetto alle prime stime.

Non è un caso che una condizione per l’intervento di Intesa è una modifica legislativa per rendere utilizzabile il fondo pubblico di 20 miliardi stanziato da Paolo Gentiloni appena diventato presidente del Consiglio, lo scorso dicembre. Non vorremmo che alla fine il conto per lo Stato e per le nostre tasche dovesse arrivare proprio a 20 miliardi.

Intesa in genere è descritta come la banca italiana più in salute. Nel bilancio 2016 ha realizzato un utile netto consolidato di 3,1 miliardi e ha distribuito ai soci un dividendo per complessivi 3 miliardi. Di certo i suoi risultati sono migliori dell’altra grande banca italiana che ha una dimensione europea, Unicredit.

La banca di sistema

Intesa ha fatto molte operazioni come “banca di sistema”. Cioè ha partecipato e sostenuto iniziative che non si giustificherebbero con il semplice calcolo economico, né rientrano nell’attività ordinaria di una banca, che dovrebbe dare credito alle finanziare famiglie e alle imprese, sulla base di progetti che abbiano una validità economica. Si tratta quindi di operazioni con un risvolto politico, intendendo con questo anche la politica delle relazioni nel capitalismo italiano.

Possiamo ricordare l’intervento in Alitalia nel 2008 con la cordata berlusconiana dei Capitani coraggiosi, i “patrioti”. Oppure il precedente intervento (2001), insieme a Unicredit e a Benetton, a sostegno di Pirelli nell’acquisto del pacchetto di controllo di Telecom Italia, venduto dalla Bell di Roberto Colaninno, a capo di una cordata di altri Capitani coraggiosi. Operazioni in forte perdita per i bilanci della banca.

Intesa ha anche finanziato con generosità Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Gianni Punzo nell’impresa con la quale hanno dato l’assalto alle tratte più ricche dell’alta velocità ferroviaria, la società Ntv e il treno Italo (ho descritto l’operazione nell’ebook Alta rapacità, editore Chiarelettere, 2012). Intesa oggi è azionista della società ferroviaria e ha in pegno le quote di tutti gli altri soci di Ntv, a garanzia dei crediti.

L’anno scorso Intesa ha sostenuto Urbano Cairo nella vittoriosa scalata a Rcs Mediagroup, la casa editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello sport e questa, a differenza delle precedenti, è un’operazione che finora si è rivelata positiva anche per i conti della banca. Questo consente inoltre alla banca, azionista storico di Rcs, di esercitare una discreta influenza sul giornale di via Solferino.

Negli ultimi mesi Intesa si è mossa dietro le quinte a sostegno di Emma Marcegaglia nella cordata guidata da Arcelor Mittal (con l’85% del capitale) per l’acquisto della polpa buona del gruppo siderurgico Ilva. La banca milanese rileverà una fetta, tra il 5 e il 10%, della quota del 15% dell’Ilva spettante all’ex presidente di Confindustria, così alleggerirà l’impegno del gruppo Marcegaglia, già molto indebitato con le banche.

Con questo dispiegamento di iniziative e di mezzi è ovvio che chi è al vertice di Intesa Sanpaolo sia in grado di esercitare una forte influenza nelle vicende italiane e anche all’estero. Intesa ha una presenza molto forte in Russia.

L’incontro con Putin

In gennaio Messina è stato ricevuto dal presidente russo Vladimir Putin, come ringraziamento dopo che la banca ha finanziato con 5,2 miliardi un’operazione da complessivi 10 miliardi di euro, la “privatizzazione” del 19,5% del colosso dell’energia Rosneft. Ufficialmente il pacchetto venduto da Mosca è stato comprato da una joint venture con sede a Singapore tra il fondo sovrano del Qatar (Qia) e il gruppo di trading minerario anglo-svizzero Glencore. Sull’operazione non è stata fatta piena trasparenza. Soprattutto la stampa inglese, il Financial Times, la Reuters e altre testate hanno sollevato molte domande. Domande finora senza risposta.

Messina è nato a Roma nel 1962 e si è laureato in economia alla Luiss, l’università privata della capitale controllata dalla Confindustria. Nel 1995 è entrato nel Banco Ambroveneto guidato da Giovanni Bazoli, l’avvocato bresciano che ha pilotato il salvataggio del vecchio Banco Ambrosiano. Molti giornalisti descrivono Bazoli come se avesse l’aureola del santo. E’ Bazoli che, a forza di acquisizioni, dalle ceneri della banca distrutta da Roberto Calvi ha costituito il gruppo con la forza di Intesa Sanpaolo.

Dal crac dell’Ambrosiano alla banca di sistema. Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo

 

Messina, banchiere ottimista

Descritto come uno sgobbone, allergico ai salotti, Messina _ racconta chi ha lavorato con lui _ si è guadagnato la stima di tutti i capi della banca, non solo il “vate” Bazoli, ma anche Corrado Passera, che è stato a lungo amministratore delegato fino al novembre 2011, quando diventò ministro nel governo di Mario Monti.

Messina è a.d. e direttore generale di Intesa dal 29 settembre 2013. Ha conquistato il comando con un blitz culminato nella sfiducia al successore di Passera, Enrico Cucchiani, visto da molti dirigenti della banca come un corpo estraneo. Messina era il capo dei congiurati anti-Cucchiani.

I punti di riferimento di Messina sono diversi da quelli del cattolico Bazoli. E’ considerato vicino a Forza Italia. Nell’ultimo incontro con gli analisti, il 5 maggio scorso, ha espresso ottimismo per le prospettive dell’economia italiana in seguito al ritorno al vertice del Pd di Matteo Renzi. “Il governo sta facendo il lavoro giusto, poi ora abbiamo anche un leader in lizza come Matteo Renzi e questo è positivo”, ha detto Messina, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore il 6 maggio 2017. “E’ vero che abbiamo il problema del debito pubblico ma la ripresa economica in atto fa ben sperare per il futuro”. Parole che saranno suonate come musica per le orecchie di Renzi.

Un banchiere ottimista, insomma. Del resto, se guarda alla sua busta paga, l’ottimismo di Messina è più che motivato.

Lo stipendio fisso di Messina è di circa due milioni di euro all’anno, al lordo delle tasse. Ma nel 2016 con il bonus di 873mila euro e altri compensi pari a 338mila euro la sua busta paga è stata di 3,1 milioni, esclusi i fringe benefit, che valgono 59mila euro all’anno. Nei guadagni sono compresi 219mila euro per ferie arretrate non godute. Inoltre il banchiere ha ricevuto azioni gratuite della banca assegnate come incentivo negli anni passati per un valore di 514mila euro. In totale Messina nel 2016 ha quindi guadagnato 3,624 milioni lordi.

L’anno precedente Messina aveva guadagnato 3,138 milioni, di cui 502mila di bonus. Negli ultimi due anni pertanto il banchiere che offre un euro per “salvare” (almeno così dice) le due popolari venete ha guadagnato 6,724 milioni lordi.

Micciché il più pagato

Il banchiere più pagato di Intesa Sanpaolo però è un altro. Secondo la relazione sulla remunerazione Messina è stato superato da Gaetano Micciché. Nato a Palermo nel 1950, è fratello di Gianfranco, che è entrato in politica con Forza Italia, è stato anche viceministro dell’economia in un governo Berlusconi.

Gaetano è stato direttore generale di Intesa fino al 25 aprile 2016. Dal 31 marzo dell’anno scorso è presidente di Banca Imi, la banca d’affari del gruppo. Nel 2016 ha ricevuto uno stipendio di 1,7 milioni lordi, compresi 495mila euro di bonus, in più azioni gratuite per un valore di 432mila euro. Nel compenso è compreso il pagamento di ferie non godute per 438mila euro. Inoltre, avendo terminato il rapporto di lavoro come dirigente della banca, Micciché ha ricevuto una buonuscita di 2,38 milioni. In totale pertanto nel 2016 Micciché ha percepito 4,513 milioni lordi. Nel 2015 aveva ricevuto dalla banca 2,19 milioni lordi. Negli ultimi due anni Micciché ha quindi guadagnato 6,7 milioni lordi.

Picca e Del Punta tra i milionari

Compensi milionari anche per il Chief risk officer Bruno Picca, che è anche consigliere di amministrazione della banca, con busta paga di 2,39 milioni lordi nel 2016. La somma comprende la buonuscita di 1,5 milioni e azioni gratuite per 213mila euro. Nel 2015 Picca aveva ricevuto 1,46 milioni lordi.

Milionario anche il direttore finanziario (Cfo) Stefano Del Punta, l’anno scorso ha ricevuto 1,817 milioni lordi, di cui 447mila come bonus e 300mila in azioni gratuite. Nel 2015 Del Punta aveva guadagnato 1,633 milioni lordi.

I presidenti Bazoli e Gros-Pietro

Bazoli è stato presidente del consiglio di sorveglianza fino al 27 aprile 2016, per quest’incarico per quattro mesi l’anno scorso ha ricevuto 292mila euro lordi. Dal 27 aprile 2016 è presidente “emerito”, non riceve compensi, i documenti della banca spiegano che è una “carica non retribuita”. Il presidente del consiglio di amministrazione è l’economista torinese Gian Maria Gros-Pietro, con un compenso in tutto il 2016 di 906mila euro lordi.

Tra i superstipendi della banca ci sono anche i dirigenti “con responsabilità strategiche”, le prime linee della banca, 20 dirigenti nel corso del 2016, a fine anno erano 19. I nomi non sono indicati nei documenti pubblicati da Intesa, i compensi vengono pubblicati solo nell’aggregato della categoria, non a livello individuale.

Lucchini

Tra questi superdirigenti c’è Stefano Lucchini, romano come Messina, del quale è coetaneo e amico, hanno studiato insieme alla Luiss. Il numero uno di Intesa lo ha richiamato nella banca nel 2014 come direttore degli “International and Regulatory affairs”, dopo che Lucchini era stato alla guida delle relazioni esterne all’Enel e all’Eni con l’a.d. Paolo Scaroni.

La categoria dei dirigenti strategici ha ricevuto nel complesso 16,39 milioni di compensi monetari nel 2016, più azioni gratuite per un controvalore di 1,97 milioni. In totale, i compensi hanno raggiunto i 18,565 milioni lordi, pari in media a 928.500 euro a testa per i 20 superdirigenti “strategici”.

Chiudiamo con una domanda molto semplice. Se Intesa interviene per “salvare” banche disastrate e una parte consistente dei costi dell’operazione vengono sostenuti dallo Stato, non sarebbe opportuno anche mettere un limite ai superstipendi dei banchieri?