Calcio, i rischi per i diritti tv sui conti della Serie A

Flop della Serie A. Cosa accadrebbe al massimo campionato italiano di calcio se l’asta per vendere i nuovi diritti televisivi si concludesse come è cominciata? Cioè se l’offerta delle tv per i tre campionati dal 2018 al 2021 si fermasse a circa 500 milioni di euro all’anno?

Questa del resto è l’offerta complessiva presentata da Sky per due pacchetti, il modulo A (satellitare per Juve, Milan, Inter, Napoli, la 17ma e le tre neopromosse dalla B) e il modulo D (esclusiva per la serie A per le squadre dalla quinta alla sedicesima, escluse quelle del pacchetto A, su qualunque piattaforma: satellitare, digitale tererstre, internet e reti mobili).

Mediaset non ha fatto alcuna offerta. C’è stata inoltre un’offerta della società Perform per i due pacchetti internet di appena 50 milioni, un quarto del minimo richiesto. Telecom, Vivendi e Discovery non si sono mosse. E neppure La7 di Urbano Cairo, che è anche proprietario del Torino.

Questi 500 milioni rappresentano circa la metà dell’incasso attuale per la vendita collettiva dei diritti per trasmettere le partite di Serie A. Con il contratto in corso, relativo al periodo 2015-2018, la Serie A incassa circa 945 milioni all’anno dai diritti nazionali, quelli per i quali si è aperta l’asta. Un discorso a parte riguarda i diritti all’estero. Il commissario della Lega, Carlo Tavecchio, ha rimandato l’asta a settembre perché sarebbe stata una svendita.

Ma chi l’ha detto che al prossimo giro andrà meglio? E non è da escludere che si apra un contenzioso. La tv posseduta da Silvio Berlusconi accusa la Lega di aver confezionato un pacchetto che favorisce Sky. Il suo ricorso all’Antitrust è stato rigettato. Ma gli uomini di Berlusconi potrebbero sempre rivolgersi a un giudice. A Cologno Monzese sono nervosi perché hanno strapagato i diritti tv per la Champions League e i conti sono in profondo rosso.

Torniamo all’impatto sulla Serie A. Con questa brutta partenza l’asta è in salita per il venditore. Le aspettative di incrementare gli incassi oltre il lciomiliardo attuale diventano piuttosto improbabili.  Altro che rincorrere i picchi ottenuti da alcune leghe straniere.

La Premier League nel triennio 2016-2019 incassa circa due miliardi e mezzo all’anno, rispetto a un miliardo e mezzo nel triennio precedente. La Bundesliga ha aumentato di recente i suoi incassi dell’85%, prima erano solo 628 milioni all’anno, saliranno a un miliardo e 170 milioni dal prossimo campionato. Questa torta durerà per quattro anni, fino al 2021. La Liga spagnola già da quest’anno è salita del 65% a poco più di un miliardo, per tre stagioni.

L’Italia per incassi è al quarto posto in Europa e rischia di rimanerci, se non di perdere terreno. La prima conseguenza, se davvero il bottino dei diritti fosse così magro, sarebbe una forte riduzione dei ricavi dei club, che sono i più tele-dipendenti in Europa. Ne deriverebbe quindi un forte peggioramento dei bilanci e, anche se forse non nell’immediato, una contrazione della capacità di spesa. Il risultato sarebbe un abbassamento del valore (o almeno del costo) delle rose dei calciatori. In pratica, tranne forse qualche eccezione, le squadre italiane diventerebbero ancora meno competitive nel confronto internazionale.

I conti della Serie A sono rovinosi. E continuano a esserlo malgrado i vertici della Federcalcio, Tavecchio e il direttore generale Michele Uva, parlino di un debole fair play finanziario per l’iscrizione al campionato. Ma le norme Figc non sono stringenti come quelle della Uefa volute dall’ex presidente, Michel Platini. Per esempio, con le norme (ma sarebbe più appropriato chiamarle non-norme) della Figc è consentito ai soci di ripianare le perdite con apporti di capitale, mentre in Europa vale il principio “spendi solo ciò che incassi”.

Lo sfascio è documentato nell’ultimo ReportCalcio presentato il 30 maggio dalla PricewaterhouseCoopers (PwC), insieme all’Arel di Enrico Letta e al vertice della Figc. In apparenza il rapporto, che fa un bilancio unico della Serie A, un “bilancione” aggregato in cui mette insieme tutti i ricavi e tutti i costi, dice che nella scorsa stagione i conti sarebbero un po’ migliorati, ma pur sempre in profondo rosso.

Pallone bucato. I conti della Serie A sono in profondo rosso, i debiti in aumento.

I bilanci sono quelli della stagione sportiva terminata il 30 giugno 2016. Il valore della produzione (in sostanza, i ricavi, il fatturato) aggregato è aumentato da 2.210 a 2.414 milioni (+9,2%). I ricavi da diritti media, i diritti tv, la voce più consistente, sono aumentati da 1.032 a 1.119 milioni (+8,5%). I ricavi da sponsor e attività commerciali sono aumentati da 361 a 415 milioni (+15%). I ricavi da stadio sono aumentati di solo 2 milioni a 224 milioni (+1%).

Nei ricavi totali lo studio di PwC include anche la plusvalenze da calciomercato, che sono aumentate da 332 a 376 milioni (+13%). In realtà è improprio considerare le plusvalenze come ricavi. Anzi, secondo i principi contabili internazionali è scorretto. Infatti le grandi società che fanno studi sul calcio internazionale, come Deloitte nella Football Money League (la classifica europea per fatturato) e Kpmg Football Benchmark nello studio sul valore d’impresa dei club, espongono i ricavi senza le plsuvalenze da calciomercato. Queste vengono considerate come proventi straordinari.

Peccato che molte squadre italiane, quando presentano i conti, dichiarino nei ricavi anche le plusvalenze, finora lo ha fatto anche la Juventus, come il Milan e l’Inter (ma non, per esempio, l’As Roma).

Pertanto i ricavi aggregati della Serie A, depurati dalla voce impropria delle plusvalenze, sarebbero solo 2.038 milioni nella stagione al 30 giugno 2016 (1.878 milioni nella precedente): i diritti tv incidono per il 55% sulle entrate. Il costo del lavoro è aumentato da 1.235,6 a 1.355,1 milioni e assorbe in media il 66,5% dei ricavi.

All’ultima riga del “bilancione” unico della Serie A c’è una perdita netta aggregata di 250 milioni. E’ la somma algebrica dei risultati di tutte le squadre, tra chi ha fatto utili (poche) e chi ha accumulato perdite (tante). Il ReportCalcio dice che c’è stato un miglioramento, perché la perdita si è ridotta rispetto ai 379 milioni della stagione precedente.

Ma bisogna osservare che la perdita effettiva della Serie A è più alta di questa cifra. Questo perché le plusvalenze per il calciomercato, che ovviamente influiscono sul risultato finale, sono state realizzate prevalentemente con cessioni sul mercato italiano. Pertanto in un bilancio effettivo, se si facesse un consolidato eliminando le operazioni tra club italiani, le plusvalenze andrebbero quasi ad azzerarsi.

Di conseguenza la peridta netta aumenterebbe. Per semplificare, potremmo sommare le plusvalenze (376 milioni) alla perdita netta aggregata ufficiale (250 milioni), si otterrebbe così una perdita netta totale pari a 626 milioni per la Serie A. Facendo la stessa operazione nella stagione precedente, la perdita effettiva sarebbe stata di 711 milioni. L’indebitamento complessivo è aumentato del 3,1%, “tornando oltre quota 3 miliardi”, sottolinea lo studio. Sono aumentati a oltre 800 milioni i debiti da calciomercato, i pagamenti in genere sono a rate in diversi anni, ma adesso ci sono ritardati pagamenti tra club.

Dai bilanci disponibili, i risultati peggiori nella scorsa stagione sono stati quelli dell’Ac Milan (-74,9 milioni nel bilancio consolidato al 31 dicembre 2016) e dell’Fc Internazionale (-59,6 milioni nel consolidato al 30 giugno 2016), poi il Bologna (-32,6 milioni).  Tra i pochi in attivo la Juventus con 4,1 milioni.In rosso anche Roma (-14 milioni) e Napoli (-3,2 milioni).

Se dovesse arrivare la stangata sui diritti tv e la Lega Serie A dovesse incassare solo 500 milioni all’anno dalla vendita per il 2018-2021, i bilanci già fragili o rovinosi dei club andrebbero incontro a un salasso.

Se i club non fossero in grado di ridurre rapidamente i costi, la perdita potrebbe almeno raddoppiare o aumentare di 400-500 milioni. E la conseguenza sarebbe obbligata per molte squadre: dovrebbero portare i libri in tribunale.