Scandalo cyber security Leonardo, fuori anche Biraghi

Si allarga lo scandalo della “cyber security” di Leonardo, l’ex Finmeccanica. E’ caduta la seconda testa nel gruppo aerospaziale e della difesa, quella più importante. Si è dimesso ieri l’accusato principale, Andrea Biraghi, uno dei principali manager del gruppo, a capo della divisione Sistemi per la sicurezza e le informazioni, detta “cyber security”. Dimissioni solo nella forma, di fatto Biraghi è stato cacciato dall’amministratore delegato del gruppo, Alessandro Profumo.

Servizi segreti

La divisione si occupa della sicurezza informatica, ha a che fare con gli apparati di intelligence, cioè lo spionaggio e i servizi segreti. Un mercato dallo sviluppo promettente.

Biraghi era stato sospeso dall’incarico poco prima della metà di maggio, come anticipato da Poteri deboli in un articolo del 16 maggio (“Leonardo, Profumo sospende Biraghi”). Era fuori azienda da una cinquantina di giorni, perché accusato da un’indagine interna (audit) di gravi irregolarità nei rapporti con i fornitori e di altre operazioni “opache”, secondo il vertice del gruppo guidato da Profumo e presieduto da Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e dei servizi segreti.

Al vertice. Alessandro Profumo

Il licenziamento di Orlandini

Sulla vicenda non c’è stata nessuna dichiarazione ufficiale di Leonardo, né di Biraghi o di altri manager messi sotto accusa, tra i quali ci sono anche i suoi principali collaboratori. Uno di essi, Stefano Orlandini, capo degli acquisti della divisione “cyber”, è stato licenziato da Leonardo alla fine della scorsa settimana, per accuse simili a quelle rivolte al suo (ex) capo, Biraghi.

Il dossier della Guardia di finanza

Con le dimissioni Biraghi ha evitato il rischio di un probabile licenziamento, che ne avrebbe macchiato il curriculum professionale. In questo modo non risultano contestazioni in documenti ufficiali, salvo gli atti interni dell’audit che sono riservati e fatte salve eventuali indagini giudiziarie. Ci sarebbe un dossier della Guardia di finanza che “traccia”  le operazioni di Biraghi e della sua squadra e sui viaggi del manager a Tel Aviv, il paradiso della cyber security.

Di chi è la Porsche?

Da circa un anno Biraghi all’improvviso aveva cominciato a viaggiare su una Porsche Carrera blu scuro. A qualche amico che si è meravigliato, il manager ha risposto: “E’ di mio padre”. Risposta che ha lasciato più d’uno sorpreso, perché il padre ha 76 anni e trascorre molto tempo nella villa in Toscana a Talamone, vicino all’Argentario. Biraghi era uno dei manager più potenti del gruppo, anche per le protezioni familiari.

Figlio dell’ammiraglio

Nato a Milano nel 1971, ingegnere, è figlio dell’ammiraglio di squadra Sergio Biraghi (classe 1941), un militare che ha fatto un balzo di carriera con Carlo Azeglio Ciampi, di cui è stato consigliere militare quando è diventato presidente della Repubblica, poi è stato capo di Stato maggiore della Marina (2004-2006). In seguito l’ammiraglio, come altri ex militari, è entrato nell’industria, nel gruppo Fincantieri come presidente della controllata per il NordAmerica, Fincantieri Usa.

Ammiraglio. Sergio Biraghi

Altri manager sotto accusa

La procedura disciplinare interna al gruppo Leonardo però non è conclusa. Ci sono altri manager sotto accusa, almeno i tre principali collaboratori di Biraghi per le funzioni centrali, i fedelissimi della squadra di “via della Laurentina”, più alcuni altri responsabili di “business unit”. Questi ultimi non fanno parte in senso stretto della squadra di Biraghi, ma potrebbero aver firmato carte e ordini “compromettenti” passati a fornitori su indicazione dei superiori.

C’è anche un caso Mbda

Intanto vengono segnalate indagini interne e contestazioni disciplinari ad alcuni dirigenti di Mbda Italia, la società missilistica di cui l’ex Finmeccanica possiede il 25% (il 75% è diviso in parti uguali tra Airbus e Bae Systems). Un manager sarebbe stato licenziato e un’alta dirigente dopo aver ricevuto contestazioni ha lasciato l’azienda.

 

Presidente. Gianni De Gennaro

Promosso da Moretti

Andrea Biraghi è diventato il capo della divisione “cyber” alla fine del 2015, quado il capo dell’ex Finmeccanica era Mauro Moretti, il “ferroviere” messo alla guida del gruppo da Matteo Renzi nel maggio 2014. Molte delle contestazioni rivolte a Biraghi riguardano operazioni fatte nel momento di punta del renzismo.

Le segnalazioni

Nelle segnalazioni, arrivate con lettere dettagliate al vertice di Leonardo e a destinatari esterni, si fa riferimento anche a progetti di acquisto di aziende che sarebbero state sostanzialmente vuote ma gonfiate di ordini da Biraghi e dai suoi per farle aumentare di valore (accuse da dimostrare). Una di queste è la Dgs, secondo una segnalazione ci sarebbe stato il progetto di comprarla per 25 milioni, ma fu bloccato. Nelle lettere viene segnalata anche la vendita di una piccola società del ramo tlc-elettronica, la Medinok, alla società campana Medinok di Pierluigi Pastore, per un euro.

Ex numero uno. Mauro Moretti

Una strana vendita

Nelle lettere si parla anche della controversa vendita di un ramo d’azienda delel tlc ad alta tecnologia e molto redditizio, Ants, venduta da Finmeccanica a fine 2015 a un’azienda dai soci vicini a Renzi. Dopo la caduta del governo Renzi, Ads è entrata in crisi, anche se già allora venivano segnalate difficoltà, come la “rinuncia” dei dipendenti alle ferie per aiutare l’azienda.

Il 5 novembre 2015 l’allora Selex Es (una controllata poi assorbita da Leonardo e spacchettata in quattro divisioni) firmò il contratto preliminare di vendita di Ants ad Ads, al prezzo di 100.000 euro. Pochi giorni dopo un dirigente del gruppo propose al vertice un’offerta d’acquisto di Ants più alta, al prezzo di 700.000 euro (Poteri deboli ha visto tutte le carte). Secondo fonti confidenziali, il ramo Ants nel 2015 ha espresso un giro d’affari di 4,5 milioni di euro e un margine di contribuzione intorno ai due milioni, dunque molto elevato. E un prezzo di 100.000 euro pertanto appare piuttosto basso.

Biraghi rispose con una lettera del 19 novembre 2015: “Abbiamo già sottoscritto accordi vincolanti per la cessione delle suddette attività”. Questo avvenne prima che venisse firmato il contratto di vendita definitivo, che è del primo dicembre 2015. Da quanto abbiamo potuto ricostruire dalle carte ufficiali, l’offerta più alta fu respinta senza neppure essere esaminata. Il contratto preliminare e quello definitivo sono stati firmati da Orlandini, il capo degli acquisti licenziato da Profumo la scorsa settimana.

La visita di Renzi

In realtà il preliminare non conteneva penali (al massimo un indennizzo di 100.000 euro e in casi delimitati). Dunque il gruppo Finmeccanica avrebbe potuto approfondire l’offerta più alta. Ma non lo fece. Oggi qualcuno _ anche ai livelli più alti _ dovrebbe essere chiamato a spiegare perché.

Gli avvocati di Ads in una lettera al Sole 24 Ore, pubblicata il 2 giugno scorso, hanno scritto che la compravendita di Ants non fu trattata con Biraghi ma rientrava nelle dismissioni volute da Moretti. Nella lettera gli avvocati di Ads affermano inoltre che l’acquisto di Ants è costato oltre due milioni di euro. Nel contratto di vendita (che Poteri deboli ha visionato) è indicato però un prezzo di 100.000 euro. Tre mesi dopo l’acquisto di Ants, il 2 marzo 2016, nella sede di Ads a Pomezia arrivò il premier Matteo Renzi, che lodò “quelli di Ads” e l’a.d. Pietro Biscu. Ci sono foto che ritraggono Renzi sorridente con l’a.d. Biscu e l’allora vicepresidente di Ads, Chicco Testa, era anche socio con il 5% attraverso i figli, poi è uscito dalla società.

Amici. Marco Carrai e la moglie di Matteo Renzi

I rapporti con Carrai

Nel marzo 2017, quando il governo Gentiloni cercava un successore per Moretti alla guida di Finmeccanica, prima che venisse individuato Profumo, Biraghi aveva cercato di inserirsi nella lotta per il vertice, in competizione con Lorenzo Mariani, capo della divisione elettronica per la difesa terrestre e navale. Biraghi aveva rapporti anche con Marco Carrai, l’imprenditore amico di Renzi che ha forti interessi nella cyber security, soprattutto in Israele. 

La successione

Leonardo adesso deve decidere chi sarà il nuovo capo della divisione di via Laurentina.  Sul sito del gruppo stamattina appare ancora Biraghi come capo della divisione. Secondo alcuni osservatori potrebbe scatenarsi una lotta di potere. L’ex rivale di Biraghi, Mariani, promosso da Profumo direttore commerciale di tutto il gruppo, potrebbe cercare di far assorbire la divisione “cyber” dalla “sua” ex divisione, che ha guidato fino a settembre 2017, l’elettronica della difesa terrestre e navale, a capo della quale è stato messo Manlio Cuccaro, un fedelissimo di Mariani.

La partita di Profumo

La decisione finale spetta a Profumo, il quale attraverso questa operazione di pulizia potrebbe anche guadagnare consensi con il nuovo governo M5S-Lega, sulla carta a lui non favorevole, mentre gli affari del gruppo Leonardo, anche per le condizioni che Profumo ha trovato, non sono proprio floridi e il titolo in Borsa soffre (ieri -0,62% a 8,354 euro, nell’ultimo mese -7,3% e nell’ultimo anno -44%). E’ questa la partita più grande in cui l’ex banchiere di Unicredit e Mps è impegnato, come se fosse il “suo” mondiale.