I debiti della Fincantieri

Giuseppe Bono ha sottolineato con orgoglio i risultati semestrali di Fincantieri, approvati dal consiglio di amministrazione  il 25 luglio. I ricavi e proventi del gruppo cantieristico controllato dallo Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti sono aumentati da 2.266 a 2.295 milioni di euro (+1,28%), l’utile operativo (Ebit) è aumentato da 61 a 88 milioni (+44%), l’utile netto consolidato di competenza è aumentato da 7 a 13 milioni (+85,7%).

L’amministratore delegato che è in carica da 15 anni e tre mesi, il più longevo tra i manager pubblici italiani, sostiene che ci sono le condizioni per distribuire il dividendo nel 2018, quando sarà approvato il bilancio di quest’anno. Nei dati del semestre si nota tuttavia qualcosa di meno positivo, su cui Bono non si è soffermato.

Parliamo dei debiti, che sono in aumento. La posizione finanziaria netta al 30 giugno 2017 è negativa per 631 milioni, con un peggioramento di 223 milioni rispetto al dato corrispondente al 30 giugno 2016 (era 408 milioni): cioè un incremento dei debiti finanziari netti del 54,6 per cento. E l’anno scorso c’era già stato un peggioramento della posizione finanziaria netta, rispetto al valore negativo di 220 milioni del 30 giugno 2015.

Di solito quando i ricavi e i margini operativi di un’azienda migliorano, i debiti dovrebbero diminuire, a meno che l’azienda non sia impegnata in rilevanti investimenti, ma non è questo il caso. Nel primo semestre il gruppo cantieristico dichiara di aver investito 76 milioni, meno dei 94 milioni dello stesso periodo del 2016. Pertanto dev’esserci un’altra ragione.

Il comunicato della società con i dati del semestre non chiarisce perché aumentino i debiti. La nota dice che “la posizione finanziaria netta è negativa per euro 631 milioni (…), con la maggior parte dell’indebitamento di gruppo relativo al finanziamento di attività correnti riconducibili alla costruzione di navi da crociera. Questa voce contiene debiti a breve termine che, pur afferendo al finanziamento delle commesse, non sono, per forma tecnica, construction loans”.

Il comunicato puntualizza che i “constructions loans”, che letteralmente si possono definire “prestiti per la costruzione” (di navi) e sono comunque sempre debiti, non sono compresi nella posizione finanziaria netta che dà la misura dell’indebitamento finanziario. Anche questi debiti “per la costruzione di navi” però sono in aumento: I “construction loans, strumenti di credito utilizzati esclusivamente per finanziare le commesse cui sono riferiti, sono pari a euro 970 milioni al 30 giugno 2017″, dice Fincantieri. Rispetto al 30 giugno 2016 i “construction loans” sono aumentati di 33 milioni.

C’è un altro dato finanziario che è peggiorato, il flusso di cassa dell’attività operativa. Questo valore nel primo semestre 2017 è positivo, pari a 122 milioni, ma è inferiore di 9 milioni rispetto ai 131 milioni del primo semestre 2016.

Vorremmo fare una domanda molto semplice a Bono e ai supermanager al vertice della Cdp nominati da Matteo Renzi, il presidente Claudio Costamagna e l’a.d. Fabio Gallia (che ha come assistente Emanuela Bono, figlia del manager a capo di Fincantieri, fin dal settembre 2014 quando Gallia era ancora a.d. della Bnl): possono spiegarci perché aumentano i debiti della Fincantieri?

Antagonista. Il presidente francese Emmanuel Macron con la moglie Brigitte

Non vorremmo che l’aumento dell’indebitamento rivelasse un problema che si è già verificato in passato nelle aziende che lavorano su commesse di durata pluriennale come sono le grandi aziende pubbliche della difesa e aeronautica, un settore che Bono conosce bene, per essere stato direttore generale dell’Efim e a.d. di Finmeccanica: cioè l’aumento patologico del capitale circolante e, in definitiva, una tendenza a finanziare una gestione inefficiente (o in perdita) con i robusti anticipi versati dai clienti quando firmano gli ordini.

Nel mare magnum delle grandi commesse è difficile dall’esterno capire se le commesse siano davvero redditizie o se invece, con il gioco degli anticipi, quando la nave è completata e viene consegnata al cliente (soprattutto le navi da crociera, un mercato sottoposto a una forte concorrenza) ci sia stata una perdita per il costruttore, magari mascherata dagli anticipi successivi per le navi ancora da costruire.

Finché il portafoglio ordini è in crescita, come avviene per Fincantieri da qualche anno (anche grazie alla legge navale approvata dal Parlamento, che ha finanziato il rinnovo della flotta della Marina militare, un capolavoro di un’azione di lobby condotta dall’ex capo di Stato maggiore ammiraglio Giuseppe De Giorgi e da Bono), i nuovi anticipi coprono quelli vecchi. Ma se ci fosse un’inversione di tendenza, eventuali problemi verrebbero immediatamente a galla.

Fincantieri adesso ha un altro problema. Il nuovo presidente francese, Emmanuel Macron, si è messo di traverso sull’acquisizione della maggioranza dei cantieri navali di Saint-Nazaire, la società Stx France, che Bono si è aggiudicato a un’asta fallimentare in Corea del Sud, perché la proprietà precedente era della coreana Stx. Bono aveva concordato con il presidente Francois Hollande che Fincantieri avrebbe rilevato il 56% di Stx France, dando però l’8% alla Fondazione Cassa di risparmio di Trieste, per salvare le apparenze e non avere la maggioranza assoluta della società. Macron però è andato alla sostanza, ha subito detto che questo escamotage non gli sta bene e ha strappato gli accordi: vuole che lo Stato francese abbia almeno il 50% della società, alla pari con gli italiani. Fincantieri però non vuole perdere il controllo e alza la voce, almeno in Italia, ma questo in Francia pare non conti granchè.

Ieri le azioni Fincantieri in Borsa hanno perso fino al 13% e hanno chiuso in ribasso dell’8,67% a 0,959 euro. Tutti danno la colpa all’effetto Macron. Il presidente francese dice che è pronto a esercitare il diritto di prelazione e nazionalizzare i cantieri di Saint-Nazaire. Forse bluffa.

Comunque vada a finire, la campagna di Francia di Fincantieri non si concluderà come Bono aveva previsto. Negli ultimi tre mesi le azioni Fincantieri erano tornate per la prima volta sopra il livello del collocamento di tre anni fa (0,78 euro), toccando quota 1 euro, grazie soprattutto ai benefici attesi dall’acquisizione in Francia. Ma se l’operazione dovesse saltare, o essere profondamente modificata, chissà che qualcuno anche in Borsa (non sappiamo alla Cdp) non si faccia qualche domanda in più sul perché dell’aumento dei debiti di Fincantieri.