Nomine allo sprint. Per Cdp c’è anche Siniscalco

E’ l’ora delle decisioni per le nomine delle grandi società pubbliche. Cdp, la cassaforte che gestisce 275 miliardi di euro del risparmio postale, soldi dei risparmiatori per intenderci, e Ferrovie dello Stato, la principale azienda italiana per investimenti, che dovrà gestire una fetta importante dei fondi europei del Pnrr, 28 miliardi che potrebbero lievitare a 36 miliardi, devono rinnovare il vertice. Si è concluso il mandato triennale affidato nel 2018 dal primo governo Conte, con la maggioranza M5S-Lega. L’assemblea di Cdp è fissata per il 27 maggio, quella di Fs è a ridosso. L’ultima parola spetta al premier Mario Draghi, che con il suo metodo riservato e imprevedibile si è riservato la decisione su presidenti e amministratori delegati.

Derby. Dario Scannapieco (a sinistra) e Fabrizio Palermo

Per Cdp Scannapieco insidia Palermo

Alla Cdp è in bilico l’amministratore delegato Fabrizio Palermo, il manager premiato dal M5S con un doppio salto di grado nel luglio 2018, era vicedirettore generale della Cdp, grazie all’appoggio di Luigi Di Maio e Stefano Buffagni. Un candidato autorevole a prendere il suo posto è Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti (Bei) in Lussemburgo, già collaboratore di Mario Draghi quando l’attuale premier era direttore generale del Tesoro, per questo considerato uno dei “Draghi-boys”. Scannapieco, nato a Roma nel 1967, è stato anche dirigente generale per la finanza e le privatizzazioni del Mef, in sostanza il direttore sulle partecipate. Scannapieco è alla Bei dal 2007 e ha ancora quattro anni e mezzo di mandato, quindi non fa pressioni per avere questa poltrona. Era già considerato un candidato nel 2018, ma gli fece la guerra il M5S, che lo considerava troppo vicino a Draghi e al “credo” europeista.

L’ipotesi Siniscalco

Secondo fonti autorevoli se il governo deciderà di cambiare la guida della Cdp ci sarebbe anche un’altra ipotesi, la nomina di Domenico Siniscalco, l’economista torinese, classe 1954, che è stato direttore generale del Tesoro dopo l’uscita di Draghi. Siniscalco fu nominato d.g. del Tesoro dal primo governo Berlusconi, è stato ministro dell’Economia nel secondo e terzo governo Berlusconi, dal 16 luglio 2004 al 22 settembre 2005, quando diede le dimissioni dopo un’esperienza da molti giudicata non brillante. Uscito dal governo, dopo sette mesi Siniscalco divenne managing director e vicepresidente di Morgan Stanley International, la banca d’affari con la quale lo Stato aveva sottoscritto contratti capestro sui derivati negli anni Novanta. Contratti su cui lo Stato riportò pesanti perdite. Dal primo dicembre 2007 Siniscalco è Country head per l’Italia della banca d’affari americana. Il profilo di Siniscalco ricorda ad alcuni quello di Franco Bernabè, che proprio Draghi ha nominato presidente dell’Ilva.

Morgan Stanley. Domenico Siniscalco

Palermo e Leonardo

Palermo ha cercato il sostegno politico del M5S per essere confermato nell’incarico per altri tre anni. Ha chiesto anche di avere un’altra poltrona di consolazione in caso di uscita. Palermo puntava a inserirsi nelle fibrillazioni di Leonardo-Finmeccanica, al traino del presidente Luciano Carta. Ma la posizione di a.d. è occupata da Alessandro Profumo, il quale ha superato nell’assemblea del 19 maggio la prova della richiesta di azione di responsabilità, presentata dal socio Bluebell Partners (25 azioni) attraverso Giuseppe Bivona, per la condanna in primo grado a sei anni per false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato, per la vicenda della contabilizzazione dei derivati di Banca Mps.

L’azione contro Profumo respinta dall’1,57% dei soci, a parte il Mef

La richiesta è stata respinta dal Mef, che ha il 30,2% del capitale, e da altri soci possessori di appena l’1,57% del capitale dell’ex Finmeccanica. Ma non hanno votato i fondi, soprattutto quelli esteri, che pure erano presenti in assemblea con circa il 20,48% del capitale totale, perché avevano già dato istruzioni di voto al rappresentante designato dalla società, Computershare, prima che fosse pubblicata da Leonardo la richiesta di azione di responsabilità. La richiesta di Bivona è stata pubblicata sul sito dell’ex Finmeccanica la sera del 4 maggio, un giorno prima della scadenza del termine. Ma i fondi in genere danno indicazioni di voto alcune settimane prima dell’assemblea, in base all’ordine del giorno pubblicato dal cda, quindi non hanno dato istruzioni sull’integrazione dell’ultimora. Bivona ha accusato Leonardo di aver ostacolato in questo modo l’esercizio del voto dei soci istituzionali. I fondi hanno votato solo sugli altri punti all’odg, ma sono risultati assenti nel voto sull’azione di responsabilità.

Leonardo. Alessandro Profumo

 

Draghi contrario ai valzer di poltrone

In questo giro la poltrona di a.d. di Leonardo non è disponibile. Profumo scade tra due anni, a meno di imprevisti. Palermo avrebbe cercato anche di farsi sponsorizzare per la carica di a.d. di Ferrovie dello Stato. Ma Draghi non ama l’effetto domino e i giri di valzer da una poltrona all’altra. Se decide di sostituire un manager perché lo ritiene inadeguato non lo premia con una poltrona più importante. Per le Fs inoltre occorre un profilo tecnico-industriale, un manager adatto a gestire un’azienda di servizi di trasporto complessa, impegnata in un robusto piano d’investimenti, 9 miliardi nel 2020, impegno che aumenterà con i fondi europei.

Ferroviere. Mauro Moretti con Massimo D’Alema

Il mandato di Battisti

L’a.d. Gianfranco Battisti è stato nominato il 31 luglio 2018, dopo che il renziano Renato Mazzoncini diede le dimissioni in seguito a un rinvio a giudizio che, per la clausola etica nello statuto di Fs, gli precludeva la possibilità di rimanere, salvo conferma dell’assemblea dei soci che però non ci sarebbe stata. L’allora ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli del M5S, aveva chiesto le dimissioni di Mazzoncini per questo motivo. Nel periodo più difficile per l’azienda ferroviaria, a causa del Covid, Battisti ha presentato risultati positivi. Tra l’altro ha evitato il trappolone dell’Alitalia, nel quale lo stavano spingendo Di Maio e Toninelli. Ha le carte in regola per proseguire con un secondo mandato.

Fs. Gianfranco Battisti

Lega e Pd affamati di poltrone

Ma la maggioranza allargata del governo Draghi è affamata di poltrone. Anche la Lega, che nel 2018 ha espresso il presidente di Fs, Gianluigi Vittorio Castelli, vuole posti. I renziani hanno fatto una campagna nomine contro Battisti, mentre ambienti del Pd spingono per Luigi Ferraris, l’ex a.d. di Terna ed ex Cfo di Enel e Poste non rinnovato un fa nella società di trasmissione elettrica. Ferraris lo scorso ottobre è entrato nel cda di Psc Group, azienda di impiantistica della famiglia Pesce che riceve commesse da molti gruppi pubblici, dall’Enel alle Fs (200 milioni di commesse solo nel 2020).

Ferraris e Iacovone

A spingere la candidatura Ferraris è soprattutto Mauro Moretti, l’ex a.d. di Fs e di Leonardo, con cui Psc Group ha un contenzioso da 361 milioni in Qatar, che di recente è stato cooptato nel cda di Psc Group e designato amministratore delegato, non ancora nominato. Un eventuale approdo di Ferraris alle Fs porrebbe problemi di opportunità e potenziali conflitti d’interesse. Un altro candidato per Fs, più per un ruolo di presidente, è Donato Iacovone, l’ex capo di Ernst & Young in Italia che è presidente di Webuild, appoggiato da Massimo D’Alema. Tuttavia alla presidenza dovrebbe andare una donna.

Il governo e “i migliori”

Secondo una direttiva del ministro dell’Economia, Daniele Franco, il governo intende nominare i candidati con le “migliori” professionalità e competenze. Sembrerebbe scontato. Ma non lo è. Il “governo dei migliori” ha detto che sceglierà i migliori. Presto sapremo se è davvero così.