E ora sbirciamo il “lato B” dei bilanci

Possiamo chiamarlo il “lato B” dei bilanci. Non si vede nel conto economico – per intenderci la tabella con i dati sui ricavi e il risultato finale dell’esercizio (utile o perdita) -, ma è un indicatore chiave per capire la solidità di un’impresa. Parliamo dei debiti. I gruppi più indebitati sono più o meno gli stessi che guidano la classifica dei ricavi. In valore assoluto, al primo posto c’è Exor, la holding che è azionista di maggioranza di Fca, Ferrari, Cnh Industriai. A livello consolidato, a fine 2015 la società presieduta da John Elkann aveva 57,3 miliardi di euro di debiti finanziari,  compresi i debiti delle controllate. Al secondo posto, il gruppo Enel con 52,8 miliardi.

Al terzo, Telecom Italia con 34,5 miliardi. I dati li ha messi in ordine Mediobanca. I debiti sono considerati nella loro totalità, c’è chi parla di debiti lordi. Se invece si considerasse l’indebitamento finanziario netto, cioè sottraendo dal totale liquidità e crediti finanziari, si avrebbero dati un po’ diversi. In graduatoria seguono Eni (27,8 miliardi), Edizione (16,4 miliardi), i cui debiti sono dovuti soprattutto al comparto autostradale Atlantia, Snam (13,8 miliardi), Ferrovie dello Stato e Wind (11,1 miliardi), Terna (9,2 miliardi), De Agostini (8,9 miliardi).

E poi, Ge Italia Holding (6,6 miliardi), seguita da Saipem (6,5 miliardi), Finmeccanica-Leonardo (5,3 miliardi) e A2A (3,8 miliardi). In genere un’azienda è considerata solida se i debiti finanziari netti non superano i mezzi propri, cioè il capitale più le riserve. Se si fa questo rapporto con i debiti lordi, chi sta peggio è Wind (20,3 volte i mezzi propri), poi Ge Italia (10,4), Coop Adriatica (3,1),
Terna (2,7), Exor (2,2).

Il rapporto più basso tra debiti e  mezzi propri ce l’hanno Fs (0,3),  Poste (0,4), Eni (0,5). Un altro riferimento è con il fatturato. La più indebitata  è Terna (i debiti sono pari al 456,3 per cento del fatturato) poi Snam (390 per cento) e Wind (258 per cento).

(articolo pubblicato su “IL“, mensile de “Il Sole 24 Ore“, febbraio 2017)